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E questa è casa mia…

Come collegare il ritornello di questa nota canzone popolare al mondo del parquet?

 

Ci sono casi, per fortuna pochi, dove questa esclamazione può procurare dei guai a tutti: avvocati, CTP e posatori. Parlo di quegli interventi di posa non riusciti, con conseguenti – e spesso inutili – contenziosi e lunghi soggiorni in Tribunale (“casa” del giudice e del CTU). Affrontare queste situazioni con onestà e ragionevolezza porterebbe sicuramente dei vantaggi a tutti, ma purtroppo questa possibilità non viene mai sfruttata ed ecco che entrano in ballo avvocati, CTU e CTP. Questi ultimi sono quasi sempre obbligati “per contratto” – con la loro memoria – a sollevare perplessità sulla memoria del CTU e ciò, non di rado, induce il giudice a indire un incontro per chiarimenti. È evidente che i CTP redigono le loro memorie mettendo in luce tutti i particolari che possono tutelare il loro committente, oscurandone le effettive responsabilità; a ciò partecipano anche gli avvocati, in maniera meno tecnica e più “machiavellica”. Comunque, al di là dei tentativi – sacrosanti – di tutelare il proprio cliente, la situazione di fatto e la tipologia dei vizi dovrebbero essere sempre l’unico ago della bilancia per decidere chi ha torto e chi ha ragione. Ma non è sempre così, soprattutto nei casi dove l’incapacità del CTU nominato dal giudice innesca una serie di fantasiose ipotesi che inducono il giudice stesso a interpellare le parti per chiarimenti. E qui comincia il cerimoniale: si entra in punta di piedi e il silenzio è tombale fino a quando il giudice comincia a domandare chi sei e da quale parte stai. Il CTU, allora, inizia a esternare le proprie convinzioni, supportate dalla solita frase “Secondo la mia esperienza” e alla richiesta del CTP “Quale esperienza?”, la risposta del giudice è quasi sempre: “Ha accettato l’incarico sotto giuramento, è il mio tramite, lei non deve fare questa domanda”. Sarebbe bello capire come un giuramento possa confermare e attestare l’effettiva esperienza di un CTU. Sarebbe bello che lo stesso la dimostrasse la tanto decantata esperienza (con documenti e prove, come devono fare i CTP), che spesso si limita ad aver visto o due pavimentazioni in 20 – 30 anni di carriera. Ma qui siamo perdenti: se in cantiere si può esternare con una certa libertà il proprio parere, quando si è convocati dal giudice non si può. Non è tutto, la digestione può venire bloccata quando, durante il chiarimento tecnico su una situazione oggettiva, vengono esposte interpretazioni e voli pindarici legati più al contesto processuale che al problema reale. Quando, sconsolati, alla fine di una convocazione, ci si permette di chiedere al giudice se è possibile considerare che quanto scritto dal CTU nella sua memoria non è attinente ai fatti e alla situazione oggettiva, la risposta, spesso, è (ed è stata): “Lei domande al giudice non ne può fare”. Certo, per un giudice ricusare il CTU da lui scelto comporta quantomeno imbarazzo, disagio e spese, però, siamo stufi di leggere sentenze “rovesciate” per colpa dell’inesperienza e dell’interpretazione soggettiva dei fatti.

*Antonio Viscardi opera nel settore parquet da moltissimi anni, non solo nello studio dei prodotti, delle problematiche e delle soluzioni, ma anche nel diffondere cultura e aggiornamento agli operatori, attraverso pubblicazioni, seminari e convegni. è anche consulente tecnico di parte.

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