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Pavimenti vecchi, nuovi guai

Gli interventi di ripristino di pavimenti in legno non devono mai essere presi sotto gamba e condotti con superficialità, perché tra tecniche di posa superate e possibili inconvenienti, si possono generare anche grossi danni. Spesso capita di vedere interventi di ripristino di pavimenti in legno eseguiti con superficialità. Pensavamo che fosse così anche per un caso che Paolo Rettondini ed io eravamo stati invitati a seguire come Consulenti Tecnici di Parte (CTP), ma alcune riflessioni ci hanno indotto a cambiare idea.

Come vi racconteremo, questo cambio di rotta è stato conseguente alla consapevolezza che in questi casi non c’è stata la volontà da parte del posatore di eseguire l’intervento superficiale, del genere “tanto è un ripristino, una carteggiata, una mano di fondo e una di vernice ed è tutto finito”. Ma che questi posatori di fronte ai grossi inconvenienti, sia sotto il profilo estetico, ambientale, funzionale sia ecologico, hanno immediatamente e onestamente ammesso: non abbiamo fatto le indagini dovute perché non ne immaginavamo minimamente le conseguenze. Di fronte a tanta umiltà e onestà, perché non aiutare chi ha eseguito l’intervento a uscire dai guai?

Il primo caso

Il caso nel quale eravamo stati coinvolti aveva come oggetto un parquet di rovere posato da almeno 40 anni, in un appartamento adibito a ufficio, che necessitava un intervento di ripristino. Il committente aveva espresso le solite priorità: prezzo basso e velocità di esecuzione. Sta di fatto che il posatore prima di asportare il duro strato verniciato deteriorato, si era accorto che molti elementi suonavano a vuoto, un chiaro sintomo di distacco dal supporto. Per far fronte a questa situazione aveva dunque adottato la comune ma non sempre adeguata tecnica di consolidamento mediante applicazione di un’abbondante mano di primer molto diluito con solvente, contando che questo, attraverso le accentuate fessure penetrasse fino al sotto pavimento e bagnando la controfaccia degli elementi favorisse la loro adesione al supporto. Il trattamento, per la gioia del committente e dello stesso posatore, funzionò, infatti permise l’asportazione del duro strato di vernice e l’applicazione di una mano di fondo e una di vernice a solvente senza problemi.
Purtroppo, bastarono solo un paio di giorni per rendersi conto che le esalazioni di solvente erano fastidiose per il personale dell’ufficio, tanto che il committente era pronto a chiamare l’USL.
Dopo averlo dissuaso, rammentandogli che questa sua iniziativa avrebbe potuto comportare l’inabitabilità dei luoghi, suggerimmo di approfittare del fine settimana per tentare di minimizzare questo inconveniente. Infatti furono sufficienti quattro generatori elettrici di aria calda, indirizzare il flusso sul pavimento e favorire il ricambio dell’aria per avere in due giorni una situazione decisamente più sopportabile. Fu dopo solo una settimana, poi, che subentrò un altro problema, questa volta non ecologico ma estetico: tutte le fughe erano diventate nere (foto 1 e 2).

1 2Questo nuovo inconveniente, naturalmente fece infuriare il committente che minacciava non solo di non pagare il posatore ma di fargli causa perché -come già sospettava prima di commissionare il lavoro-, riteneva il posatore inesperto.
3Lo informammo anche questa volta dei rischi, dato che dopo quello che aveva affermato era bene non mandare avanti la denuncia poiché in questi casi la legge prevede la corresponsabilità per il committente che affida un intervento a una persona non qualificata per farlo. Effettivamente il giovane posatore era inesperto, ma è indubbiamente vero che le fughe erano diventate nere perché il suo pavimento era stato incollato con un adesivo a base di catrame, come si poteva vedere da un elemento applicato con quel tipo di prodotto (fig. 3). Dunque gli dicemmo che se lui avesse voluto la sostituzione del parquet sarebbe stato indispensabile togliere completamente quell’atavico strato di adesione a base catrame, con il più che probabile danneggiamento della superficie dello strato ripartitore di carico. Perciò, cambiato atteggiamento verso il posatore, ci chiese quale fosse una soluzione tecnica per riavere un parquet più adatto all’ambiente, cosa che con un fondo inchiostrante e un prodotto di finitura tutti in veicolo acquoso era certamente possibile. In questo caso, sicuramente il posatore non ha realizzato il guadagno previsto ma una causa da parte del committente per inquinamento ambientale e danneggiamento della pavimentazione sarebbe costato molto di più.

Un secondo caso

Un secondo caso analogo che ci è capitato ha per certi versi dell’incredibile, anche in questo caso si trattava di un pavimento in rovere posato a spina di pesce da ripristinare. Purtroppo, il committente si è limitato a dare solo l’incarico al posatore e niente più. Il posatore da una prima superficiale indagine dei luoghi, ebbe l’impressione che il pavimento era incollato, questo dalla risposta del suono alla percussione. Dopo averlo levigato e verniciato si era accorto che molti elementi si erano staccati e creavano dei dislivelli, per cui sempre con la convinzione che il parquet fosse incollato, trattò la superficie con una enorme mano di primer diluito al 100% in solvente.

Fu una catastrofe. Questo trattamento, infatti, oltre a non aver nessun effetto data l’esegerata diluizione, provocò le immediate lamentele dell’inquilino che abitava nell’appartamento di sotto con le conseguenti minacce di denunce alle autorità competenti poiché in effetti nel suo appartamento aumentava sempre di più l’odore di solvente.

Tolti alcuni elementi il posatore si trovò di fronte un’amara sorpresa poiché il parquet non era stato incollato ma inchiodato su magatelli e per il fatto che lo spazio tra un magatello e l’altro era stato riempito con rifiuti di ogni genere, ammortizzava il rumore da calpestio (fig.4-5).

4 5 insieme

 

Di certo anche in questo caso il primer non ha avuto difficoltà a penetrare attraverso le fessure ma c’era da domandarsi quanto ne avesse messo e a che scopo, perché l’unica cosa che aveva consolidato erano i rifiuti messi tra i magatelli e la superficie del solaio (fig. 6, 7, 8, 9).

6 7

8 9

Dato che non c’era una documentazione sulla esatta composizione del solaio abbiamo fatto delle indagini distruttive per accertare -alla fine- che era composto in latero cemento e costatando che il primer diluito era penetrato in tutto lo spessore della cappa gettata sopra il laterizi (fig.10-11).

10 11

 

Non c’era certo tempo da perdere: immediatamente abbiamo consigliato di forare tutta la superficie del solaio (fig.12).

12

Poi abbiamo indirizzato sulla superficie due potenti cannoni ad aria calda, così in un paio di giorni il sistema aveva pressoché risolto il problema dell’odore nell’appartamento dell’appartamento del piano di sotto. Chiaramente eravamo tutti soddisfatti. Va detto tuttavia che oltre alla nostra esperienza, il risultato era frutto dalla immediata disponibilità del posatore a levare la pavimentazione e, messo a nudo il sottopavimento a intervenire rapidamente prima che le conseguenze della situazione diventassero drammatiche. Per il posatore avrebbe potuto comportare anche conseguenze penali.

Conclusioni

Riteniamo che questi due casi e le loro possibili drammatiche conseguenze, evidenzino bene le ragioni per le quali i posatori debbano essere molto più prudenti, attenti e professionali, anche nel caso di ripristini delle pavimentazioni in parquet. ■

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