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Gli strati riparatori di carico autolivellanti

Una delle ultime perizie alla quale ho partecipato riguardava un inconveniente di posa di un pavimento in legno. Sul luogo erano presenti diversi soggetti, tra cui avvocati, architetti e geometri che avevano per principio messo sotto accusa il parquet. Non ricordo chi ma qualcuno mi ha detto che la parola ignorante non deve essere considerata come un’offesa bensì indica una persona che non conosce la materia con la quale vuole dimostrare le sue tesi.

Sicuramente in quella occasione noi abbiamo abusato di questo termine, non tanto per offendere ma per sensibilizzare le persone presenti che volevano occuparsi di problemi in edilizia, ignorando che qualsiasi pavimentazione per prima cosa esige di essere posata su un sottopavimento eseguito secondo le regole specifiche del settore e secondo le normative in essere.
È vero che il mercato offre anche pavimentazioni di qualità scadente, ma le cause dei danni in casi di questo genere deve essere cercata nella qualità del sottopavimento. Quando questa viene a mancare le conclusioni sono sempre le stesse indipendentemente del tipo di pavimentazione.
Con questa premessa, vogliamo qui offrire un approfondimento tecnico su questo tema. Riteniamo, dunque, utile dare qualche indicazione su una categoria di strati ripartitori di carico che per le loro caratteristiche sono sempre più impiegati anche per pavimentazioni in parquet: gli strati ripartitori di carico autolivellanti.

PDF PQ6 2016 bassa 134

Dato per scontato che uno strato ripartitore di carico auto-livellante deve essere messo in opera sopra un sottofondo o solaio in modo che dagli stessi non possa assorbire dell’umidità, per questa necessità è assolutamente indispensabile che sia opportunamente isolato da uno strato di barriera al vapore che abbia un valore minimo certificato di SD 30 m o da un materassino anticalpestio che abbia sotto questo aspetto le stesse caratteristiche.
Naturalmente questo strato di barriera al vapore o di strato barriera al vapore con caratteristiche fono-isolanti deve essere posto in opera in modo che, mediante sovrapposizione e nastratura o auto adesione dei lati, formi uno strato continuo che salga a catino anche sui muri interni e perimetrali ben al di sopra del piano della pavimentazione.

Detto accorgimento è importante anche per un altro motivo ed è dovuto al fatto che gli alluminati del cemento contenuti nelle strutture portanti o nelle cappe dei solai in calcestruzzo, oppure nelle malte degli intonaci a base cemento, possono reagire con i solfati eventualmente contenuti negli strati ripartitore di carico auto-livellanti con conseguente formazione di sali tristemente noti per il loro potere espansivo, in particolare l’Attringite, la Thaumasite la Tenardite.
Va posto l’accento che per la tipologia del prodotto, che necessariamente al momento della posa ha l’aspetto fisico di un fluido scorrevole, non è escluso che una volta messa in opera, durante il processo di indurimento, faciliti la formazione di Bleeding, vale a dire le particelle più fini vengono a galla e si concentrano in superficie formando uno strato di spessore variabile, con insignificanti resistenze meccaniche e sicuramente sfarinante.

Ovviamente è molto importante prendere meticolosamente visione di questo fattore, poiché se è di spessore limitato 0,1-0,3 mm è possibile conferirgli delle resistenze meccaniche superiori con l’applicazione di specifico primer. Contrariamente se questo, come spesso accade, è di spessore superiore, prima di essere rivestito con la pavimentazione in parquet o con altri tipi di pavimentazione, richiede obbligatoriamente la scarificazione meccanica della sua superficie e l’asportazione meticolosa della polvere derivata da questa operazione, poiché questo intervento oltre che favorire sicuramente l’evaporazione dell’umidità residua in eccesso fino a ridurla al valore previsto dalle norme specifiche prepara il supporto ad essere pavimentato mediante incollaggio.

Non è escluso che dopo questa operazione la superficie sia ancora sfarinante ma prima di fare un trattamento antispolvero è d’obbligo accertarsi che lo strato ripartitore di carico messo in opera abbia un’umidità residua non superiore del 0,5% se dichiarato in Anidrite e il 2% in peso se dichiarato cementizio.

Nel caso di massetti auto – livellanti dichiarati cementizi, qualora sia necessario un trattamento con il primer, è indispensabile farsi dare una autorizzazione scritta dalla ditta che le ha messi in opera o che le ha prodotti sulla possibilità di effettuare tale trattamento poiché è possibile che questo tipo di massetti, anche se dichiarati cementizi, potrebbero contenere del solfato di calcio il quale dopo indurimento non ammette la presenza di umidità libera poiché in questo caso può favorire un processo di decristallizzazione.
Dal momento che la parte attiva dei prodotti per trattamenti con primer consolidanti necessariamente esplica la sua funzione legante penetrando nelle porosità e occludendole, perciò è più che evidente che l’umidità occultata al suo interno verrebbe bloccata, cosa che può sicuramente innescare reazioni indesiderate.

Nel caso di riscaldamenti a pavimento, questo valore deve essere ridotto allo 0,3% nel caso dell’Anidrite e al 1,7% nel caso di massetti cementizi o dichiarati cementizi cosa facilmente ottenibile se nello stesso è stato annegato un impianto di riscaldamento a pavimento poiché è più che evidente che questo, una volta messo in funzione, sarà sottoposto a delle condizioni di esercizio le quali obbligheranno comunque una parte dell’acqua di equilibrio a evaporare e perciò va considerato che in questa fase, uno strato ripartitore di carico di spessore di 5 cm rilascia sotto forma di vapore oltre 200-300 g al m2 di acqua. Questa quantità è più che sufficiente per umidificare il parquet incollato sopra e a provocare un aumento dimensionale messo inizialmente in evidenza in prossimità delle fughe degli elementi posati con delle sbordature dello stucco o della colla. Nei casi peggiori provoca un imbarcamento trasversale alla lunghezza degli elementi, tensioni che comunemente anticipano distacchi e sollevamenti degli elementi.
Come è noto queste verifiche del contenuto di umidità dello strato ripartitore di carico in Anidrite devono essere fatte utilizzando meticolosamente un igrometro al carburo su 50 g meglio 100 g di campione e per i cementizi sono sufficienti 20 g prelevati per sicurezza nei punti dove in precedenza, mediante un igrometro elettronico, è stata rilevata al suo interno la percentuale più alta di umidità. A questo riguardo va detto che è meglio che il campione venga prelevato al limite della barriera al vapore poiché in questo modo si può controllare la sua efficienza. Fotolia 86534675 M

Inoltre, va posto l’accento che come previsto dalla norma UNI 11368 una pavimentazione in parquet deve essere posata su uno strato ripartitore di carico di qualsiasi natura avente una resistenza alle sollecitazioni parallele al piano di posa di almeno 1,6 N/mm2 e lo stesso non deve presentare dislivelli in qualsiasi direzione superiori a 2 mm misurati utilizzando una staggia di 2 m munita di bolla. Pertanto queste nuove norme obbligheranno i posatori di parquet a essere molto più attenti e nello stesso tempo pignoli poiché i difetti dello strato ripartitore di carico compromettono la posa e le condizioni di esercizio del parquet tradizionale e ancor di più quelle per il parquet stratificato e prefinto tali rimedi sono ancora più difficili da attuare.

Queste indicazioni previste dalle norme non dovrebbero essere un problema almeno per quanto riguarda la resistenza a compressione,va detto però che mediamente gli strati ripartitori di carico auto livellanti in Anidrite e cementizi, al contrario permettono di ottenere un sottopavimento con caratteristiche superiori sia sotto il profilo tecnico che funzionale Riguardo alla conducibilità poiché il peso specifico dell’Anidrite solitamente si aggira sul 112 Kg mq per 5 cm di spessore, contro circa 100 Kg/mq di un autolivellante cementizio o solo 80 Kg/mq di uno strato ripartitore di carico messo in opera con il metodo tradizionale sabbia e cemento consistenza terra umida, si deve riconoscere che l’Anidrite ha un’ottima conducibilità.

Purtroppo la realtà dei cantieri dimostra che per mille motivi gli strati ripartitori di carico possono non raggiungere o acquisire le caratteristiche previste soprattutto per quanto riguarda i tempi di essiccazione.
A questo inconveniente spesso si somma un insufficiente auto-livellamento al punto che la loro fluidità non riesce in qualche punto della pavimentazione ad assicurare una sufficiente planarità come del resto prevista dalla norma. Spesso a questi due inconvenienti se ne somma un terzo decisamente più problematico da eliminare: la mancanza di resistenze meccaniche alle sollecitazioni parallele al piano di posa.
A questo punto viene spontaneo porsi una domanda: Perché per i massetti cementizi questi inconvenienti sono meno problematici da risolvere mentre per i massetti in Anidrite la loro soluzione richiede più impegno e attenzione?

A parte la sicura incompatibilità tra gli alluminati del cemento e i solfati dell’Anidrite citata in precedenza, ci sono altri parametri da considerare, per esempio: i massetti in Anidride sono più compatti per cui l’acqua non legata chimicamente fa più fatica a evaporare anche per la natura decisamente più igroscopica del solfato di calcio. Questa penalizzante situazione è di marginale importanza nel caso di strati ripartitori di carico nei quali è stato annegato l’impianto di riscaldamento poiché è sufficiente tenerlo acceso sino a quando l’acqua libera non si sia ridotta fino al 0,3%.

Dove non c’è il riscaldamento a pavimento l’eroico tentativo di ridurre la percentuale di umidità occultata con apparecchiature che emettono aria calda nella maggior parte dei casi, malgrado il costo elevatissimo, risolve il problema dopo molto tempo anche dopo settimane.
Detto sistema non è che sia controindicato ma richiede particolari accorgimenti poiché ci si deve preoccupare di operare in modo che il calore radiato dalle attrezzature sia sfruttato per far evaporare l’umidità dallo superficie dello stato ripartitore di carico e non dalle murature e dal soffitto e poi, la cosa più importante è fare in modo che l’umidità estrapolata dalle strutture sia convogliata all’esterno onde accelerare il processo di deumidificazione ed evitare, qual ora si interrompa il flusso di aria calda, immediate ricondensazioni dell’umidità estrapolata sulla superficie dello strato ripartitore di carico.
In ogni caso questo sistema richiede settimane di consumo energetico e se sono state noleggiate le attrezzature, i costi sono davvero proibitivi.
Per questi problemi è meglio rivolgersi a una ditta specializzata poiché solo la stessa può assicurare quantomeno l’ottenimento di un veloce e sicuro risultato.
Ottimi risultati si ottengono rivestendo ermeticamente la superficie dello strato ripartitore di carico con un foglio di polietilene e insufflando ricambiandola continuamente l’aria calda sotto di esso.

Come detto in precedenza, una situazione decisamente peggiore e pericolosa e sicuramente penalizzante sotto il profilo economico è quando lo strato ripartitore di carico non possiede le caratteristiche meccaniche rispondenti alle norma,vale a dire 1,6 N/mm2.
Per questo problema é palese che il trattamento consolidante è il sistema che a prima vista indica la soluzione migliore e difatti lo è, ma attenzione perché presenta delle notevoli insidie. Premesso che, come detto in precedenza, lo strato ripartitore di carico deve avere una percentuale di umidità del 0,3% si deve ricordare che un buon consolidamento richiede la penetrazione in profondità del composti consolidante e questo, a parte gli abusati slogan apposti sull’etichetta dell’imballo o sulla scheda tecnica che accompagna una miriade di prodotti presenti sul mercato, nel caso dell’Anidrite a causa della sua compattezza la penetrazione di prodotti consolidanti è fortemente ostacolata. Prove pratiche hanno dimostrato che per assicurare un’ottima penetrazione dei composti consolidanti deve essere diluito almeno al 50% al fine di assicurare il consolidamento di un alto spessore dello strato superficiale. Questo significa che applicare 150g al m2 di un primer consolidante al 50% di secco, 75 g sono di solvente e se questo intervento è fatto in una stanza di 16 m2 l’ambiente verrà sicuramente inquinata da 1,2 Kg di solvente, ma se è fatto in tutto un palazzo o anche un appartamento di 100m2 il supporto verrà impregnato con 7,5 Kg di solvente e nei casi di appartamenti lussuosi 400-500 m2 con 30-40 litri di solvente che pian piano evaporeranno nell’aria.

Attenzione anche se sono utilizzati dei solventi a minor impatto ambientale, niente può escludere che una persona sia sensibile al punto di avere serie conseguenze sulla sua salute. Tali interventi anche se raramente sono stati fonte di guai che alla fine si sono riversati su chi aveva eseguito il lavoro.
Pur riconoscendo gli sforzi fatti dalle aziende nel formulare prodotti a minor impatto ambientale, l’utilizzo di un solvente anche di bassissimo impatto ambientale non può escludere una influenza negativa sulle persone che abiteranno nell’appartamento, poiché nulla può escludere che lo stesso dimostri una particolare sensibilità a composti chimici e purtroppo questi inconvenienti, a volte anche abilmente sfruttati, hanno avuto per chi ha applicato il prodotto, uno strascico penale improprio ed estremamente penalizzante.
Con l’impianto di riscaldamento il problema non si pone perché è sufficiente mettere in funzione l’impianto per accelerare in modo drastico e totale l’evaporazione del solvente che però dovrà essere in ogni caso abbinata ad una continua ventilazione degli ambienti.
Riguardo ai tempi necessari per ottenere questo scopo non si capisce perché vengano rilasciate versioni incoraggianti, le situazioni variano da caso a caso, perciò è meglio che giorni di riscaldamento con una temperatura più alta possibile e di ricambio d’aria siano più numerosi possibile. Un sistema decisamente empirico ma indicativo può essere il mantenere il riscaldamento acceso nell’ambiente per 2-3 giorni senza il minimo ricambio d’aria vale a dire a serramenti chiusi per poi accertarsi che nello stesso non sia più percepibile l’eventuale odore di residui di solvente.

Va anche considerato che i residui di solvente occultati nel massetto, rallentano enormemente i tempi di reticolazione degli adesivi che vengono comunemente utilizzati e per alcuni (poliuretanici) i solventi alcolici influiscono negativamente sulla loro reticolazione e indurimento. Detto questo bisogna considerare altri parametri uno tra i quali è il fatto che il trattamento consolidante cambia di fatto il modulo elastico del materiale nel quale è penetrato.
Considerando che le condizioni di esercizio di uno strato ripartitore di carico nel quale è stato annegato un pavimento riscaldante è costantemente soggetto a dilatazioni e contrazioni è palese che se il suo spessore è composto da strati di diverso modulo elastico, questi a qualsiasi temperature siano soggetti avranno in ogni caso degli scorrimenti differenziati e non è raro che in presenza di massetti inconsistenti si abbia la delaminazione dello strato più rigido o consolidato sopratutto nei casi nei quali il trattamento consolidante è penetrato pochissimo.

Un altro problema che bisogna considerare sono le quantità da applicare. Per meglio dire, bisogna operare in modo che il prodotto applicato sulla superficie penetri il più possibile non solo per consolidare un alto spessore del massetto ma per evitare che rimanga uno strato eccessivo in superficie poiché ciò ostacolerebbe la fuoriuscita del solvente.
Come abbiamo detto comunemente dovranno passare parecchi giorni prima di poter posare e non è escluso che per far evaporare il solvente allo scopo di ottenere il raggiungimento delle caratteristiche finali del consolidante, nelle stagione fredda, si debba tenere acceso il riscaldamento a pavimento per più giorni, perciò il prodotto consolidante tende a vetrificare e se è messo in eccesso sulla superficie influisce negativamente sulla qualità dell’adesione sia per la levigatezza della superficie trattata, sia perché essendo vetrificato la polvere o un infimo strato di acqua condensata sulla pavimentazione ostacola l’adesione dell’adesivo. In tutti casi situazioni del genere sono risolvibili evitando punti di rugiada e carteggiando con tele abrasive idonee quanto basta per incidere la superficie dell’eventuale residuo di consolidante presente in eccesso.
Un’ulteriore osservazione va fatta sulle caratteristiche finali dei prodotti consolidanti poiché come abbiamo detto quello ottimale è una referenza che, con meno solvente, ha un alto potere penetrante. Riguardo alla sua durezza finale sotto il profilo tecnico è sicuramente meglio che abbia un’alta tenacità ma che sia il meno rigido possibile poiché come abbiamo detto lo strato ripartitore di carico con l’impianto di riscaldamento in funzione sarà soggetto a dilatazioni e contrazioni continue per cui gli eventuali strati consolidati in superficie è meglio che abbiano un modulo elastico più simile possibile agli spessori sottostanti non impregnati. Vale a dire è meglio evitare consolidamenti esasperati ma nel caso di strati ripartitori di carico su pavimenti riscaldanti che non hanno una sufficiente resistenza alla collaudo di resistenza parallela ai piani di posa (SCHEAR) è meglio fare dei consolidamenti quanto basta per avere dei valori vicini a quelli previsti dalla norma (1,6 N/m2).

Riguardo ai possibili avvallamenti se sono limitati è preferibile che questi vengano compensati dallo stesso posatore applicando in queste aree uno strato maggiore di adesivo, naturalmente questo deve avere una composizione al 100% di secco in modo che non ci siano ritiri nel tempo, altrimenti i dislivelli non verranno compensati. Un altro sistema è quello di compensarli utilizzando una malta sintetica, vale a dire impastando una sabbia fine con una curva granulometrica indicativa di 0 – 0,3 con circa il 10% di legante sintetico al 100% (poliuretanico monocomponente o epossidico bi componente). Per concludere, va da sè che per incollare il parquet su un massetto in Anidrite, sulla sua superficie opportunamente preparata è meglio utilizzare adesivi poliuretanici o epossi uretanici e non colle in dispersione acquosa. ■

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