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Nuova sentenza Corte costituzionale su Norme Tecniche Costruzioni

La Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 16 dicembre 2019, n. 62

Con la sentenza n. 78 depositata oggi 21 aprile 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 16 dicembre 2019, n. 62 (Modifiche alla legge regionale n. 21/2010), promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera h), e 118, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Ragioni dell’impugnazione

La disposizione impugnata, nel sostituire il previgente art. 6, comma 1, della legge della Regione Calabria 11 agosto 2010, n. 21 (Misure straordinarie a sostegno dell’attività edilizia finalizzata al miglioramento della quantità del patrimonio edilizio residenziale), quest’ultimo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Calabria 16 ottobre 2019, n. 36 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 21/2010), ha stabilito che gli interventi straordinari di ampliamento, di variazione di destinazione d’uso e di variazione del numero di unità immobiliari (previsti dall’art. 4 della stessa legge regionale n. 21 del 2010), gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali con aumento di volumetria (di cui all’art. 5 della stessa legge regionale), nonché gli ulteriori interventi in deroga agli strumenti urbanistici, previsti dallo stesso art. 6 della legge regionale n. 21 del 2010, «possono essere realizzati su immobili esistenti alla data del 31 dicembre 2018, ivi comprese le unità collabenti regolarmente accatastati presso le rispettive agenzie del territorio oppure per i quali, al momento della richiesta dell’intervento, sia in corso la procedura di accatastamento».

Nella precedente versione della norma, erano consentiti i medesimi interventi sugli «immobili esistenti», con la precisazione che fossero «definiti tali dal Capitolo 8 delle Norme tecniche per le costruzioni approvate con D.M. 17 gennaio 2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Aggiornamento delle “Norme tecniche per le costruzioni”)».

La norma impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri ha eliminato il richiamo alle norme tecniche, approvate con decreto del Ministro per le infrastrutture e i trasporti 17 gennaio 2018 (Aggiornamento delle «Norme tecniche per le costruzioni»), che, al capitolo 8, capoverso, definiscono «costruzione esistente» quella «che abbia, alla data della redazione della valutazione di sicurezza e/o del progetto d’intervento, la struttura completamente realizzata».

Secondo il ricorrente la norma impugnata sarebbe da ascrivere alla materia della «sicurezza» (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), rimessa alla competenza esclusiva del legislatore statale, «anche con riguardo alle possibili forme di coordinamento con le Regioni» (ai sensi dell’art. 118, terzo comma, Cost.).

Dopo la proposizione del ricorso, il testo dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Calabria n. 21 del 2010 è stato modificato dall’art. 4, comma 1, della legge della Regione Calabria 2 luglio 2020, n. 10, recante «Modifiche e integrazioni al Piano Casa (legge regionale 11 agosto 2010, n. 21)».

Tale ius superveniens forma oggetto di altro e successivo ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, iscritto al n. 72 del reg. ric. 2020, non ancora venuto in decisione.

Quest’ultima modifica ha inciso unicamente sulla data – ora indicata al 31 dicembre 2019 – rilevante ai fini della realizzazione degli interventi in deroga. Essa, pertanto, non è satisfattiva delle pretese avanzate dal ricorrente. Non può, dunque, dirsi cessata la materia del contendere.

Per la Consulta le questioni sono inammissibili

Secondo la Consulta le questioni sono inammissibili:

Questa Corte ha affermato che le norme tecniche per le costruzioni – aggiornate con d.m. 17 gennaio 2018, sulla base della previsione di cui all’art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» – sono vincolanti per le Regioni in quanto garantiscono, «per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, un regime unico, valido per tutto il territorio nazionale, in un settore nel quale entrano in gioco valutazioni altamente tecniche» (sentenza n. 282 del 2016, punto 6.2. del Considerato in diritto; analogamente, sentenza n. 125 del 2017, punto 4.3.2. del Considerato in diritto). Anche la Regione Calabria non può sottrarsi all’obbligo di osservare e applicare tali norme tecniche per le costruzioni, come, del resto, si evince da una recente decisione di questa Corte (sentenza n. 264 del 2019, punto 6.4. del Considerato in diritto).

Dall’assenza, nella disposizione impugnata, di un riferimento alle norme tecniche, il ricorrente fa discendere la «volontà del legislatore regionale» di consentire, nel territorio calabrese, la realizzabilità degli interventi senza il rispetto di quelle norme, in violazione della competenza legislativa dello Stato nella materia della «sicurezza». A tale riguardo, non illustra le ragioni per cui la mera soppressione del riferimento alla definizione statale di «costruzione esistente» possa tradursi, di per sé, in un generalizzato vulnus ai criteri generali di sicurezza, stabiliti dal d.m. 17 gennaio 2018 per la costruzione dei manufatti edilizi. La legge reg. Calabria n. 21 del 2010, peraltro, richiama, in diverse sue disposizioni, le «vigenti normative tecniche sulle costruzioni» (si vedano, in particolare, gli artt. 2, comma 3, 4, comma 3, e 5, comma 4), ma di questa ricognizione il ricorrente non dà conto.

Altrettanto assertivi e generici appaiono gli argomenti offerti a sostegno della violazione, con la disposizione impugnata, dell’art. 118, terzo comma, Cost., in riferimento alle «possibili forme di coordinamento» tra Stato e Regioni nella materia della «sicurezza». Le censure del ricorrente, proprio perché generiche, non superano il vaglio di ammissibilità che, nei ricorsi in via principale, richiede una motivazione adeguata e non meramente apodittica (da ultimo, sentenze n. 279 e n. 143 del 2020). Questa esigenza si pone, come questa Corte ha costantemente ribadito, «in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (sentenza n. 36 del 2021, punto 3.1. del Considerato in diritto).

Da tutto ciò deriva l’inammissibilità delle questioni.

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