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FSC: nel 2020 gli incendi sono aumentati del 13%

Ogni anno sono 340 milioni gli ettari nel mondo interessati dal fenomeno. A incidere sono sempre più gli effetti del cambiamento climatico

È cronaca di questi giorni gli incendi che stanno devastando un ampia area della Sardegna, incendi resi ancor più devastanti dai cambiamenti climatici che ne favoriscono la propagazione.

Ma contrariamente alla percezione comune, il fuoco svolge un ruolo importante nei cicli naturali, mantenendo la biodiversità, eliminando la vecchia vegetazione, restituendo sostanze nutritive al suolo e consentendo al sole di penetrare la vegetazione e favorire la rigenerazione; agisce inoltre da disinfestante naturale, rimuovendo piante colpite da malattie e insetti dannosi per l’ecosistema. Quello però a cui si è assistito negli ultimi anni ha poco o niente a che fare con queste funzioni.

Gli incendi nel 2020

Nel 2020 i fuochi devastarono ampie parti dell’Australia e della Siberia e furono acuiti da fattori meteorologici sempre più estremi. Ogni anno sono mediamente 340 milioni gli ettari nel mondo interessati da questi fenomeni (in Italia sono 480 mila), anche se solo una piccola parte è riferibile ad aree forestali: le foreste rappresentano infatti solo il 10% delle zone colpite da fuochi, che si concentrano per lo più nelle savane tropicali (85%).

Ma come scoppia un incendio, e soprattutto quali sono gli elementi che rendono questi eventi sempre più pericolosi? Gli incendi boschivi possono nascere da fenomeni naturali – di solito fulmini – oppure, come spesso accade, da azioni umane. Per attivarsi e propagarsi, i fuochi hanno bisogno della compresenza di almeno tre elementi (il cosiddetto “triangolo del fuoco”): il combustibile, ossia qualsiasi materiale infiammabile come legno, erba secca o cespugli; l’aria, che fornisce ossigeno alla fiamma e che, in molti casi, aiuta a trasportare le scintille anche per diversi chilometri, aumentando la portata distruttiva del fenomeno; la fonte di calore, come fulmini, fuochi incustoditi, mozziconi di sigaretta non spenti o atti dolosi.

Le zone più interessate dal fenomeno

Anche se l’area mondiale interessata dalle fiamme ogni anno è generalmente in calo, grazie soprattutto ad attività di prevenzione come la disposizione di strade taglia fuoco, l’azione di fuochi controllati, la pulizia e l’asporto del materiale secco e la formazione di squadre d’intervento, è interessante notare come dal 1979 al 2013 la durata della stagione globale degli incendi sia aumentata in media del 19% (Fonte: WWF, Fires, forests and the future, 2020). Ciò, dicono gli esperti, è da attribuire all’influsso negativo della crisi climatica su almeno tre fattori: aree interessate, frequenza e intensità.

Le analisi degli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi suggeriscono infatti un possibile aumento dell’estensione delle zone colpite da fuochi, con livelli di peggioramento importanti. Inoltre, si assiste a una sempre maggiore imprevedibilità delle stagioni degli incendi, che arrivano prima e durano più a lungo, lasciando sempre meno spazio alla vegetazione per riprendersi e tempo alle comunità per gestire l’emergenza. Uno studio condotto da Carbon Brief ha confermato come, entro la metà del secolo, ci potrebbe essere un aumento del 35% dei giorni che registrano un alto pericolo di incendio in tutto il mondo.

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