Tutto quello che c’è da sapere sul concordato preventivo continuativo
Un caso nel quale l’informazione e la conoscenza sono le uniche e più valide armi per difendersi dalle ingiustizie preventivo?
Il concordato preventivo, introdotto all’inizio di settembre 2012 con un decreto legge poi convertito in legge, stabilisce in sintesi che le aziende in difficoltà possano evitare l’immediata
dichiarazione di fallimento e aprire, invece, una procedura di “preconcordato”, volta a sanare la situazione finanziaria. La procedura si attiva attraverso una “domanda incompleta”, ovvero depositando in Tribunale gli ultimi 3 bilanci di esercizio. Successivamente l’azienda può presentare, entro un termine compreso tra i 60 e i 120 giorni, prorogabili in presenza di giustificati motivi di altri 60 giorni, un piano di ristrutturazione aziendale. Uno degli effetti è il blocco delle azioni esecutive da parte dei creditori, secondo quanto stabilito dalla legge fallimentare: più che comprensibile, visto lo spirito della norma, ma l’aspetto critico è che durante la fase di preconcordato non c’è alcun obbligo, per l’azienda in difficoltà di avvisare formalmente i creditori. In sostanza è una procedura concorsuale diversa dal fallimento. Nella procedura la società viene affidata a un commissario che procede alla catalogazione di attività e passività della società, cose che comunque possono essere inventate o quantomeno manipolate a piacere. La quantificazione porta a definire una percentuale di rientro del buco di bilancio delle società stesse, pagando i creditori (tutti i fornitori, imprese dell’indotto, ma anche banche). Ma non è tutto così lineare. Purtroppo molte aziende in crisi che utilizzano lo strumento del concordato preventivo come escamotage per non pagare i creditori. È più che evidente che una legge così assurda dovrebbe essere abolita immediatamente poiché certi imprenditori ne stanno approfittando a piene mani di questa legge per non pagare i creditori e il danno si riflette in maniera drammatica su piccole e medie imprese, artigiani e tutta la collettività. Risultano essere quasi settemila le imprese italiane che hanno depositato una domanda di attivazione della procedura di concordato preventivo quando questo nuovo Istituto giuridico è entrato in vigore nel settembre 2012. Chi sorride nel caso di concordato preventivo sono i cosiddetti asseveratori, consulenti ecc. Loro si fanno pagare prima di muovere un dito, mentre i creditori do- vranno aspettare sperando di riuscire a incassare “qualche cosa” del loro credito. Se poi il concordato non viene concesso, si dichiara il fallimento. A questo punto cominciano a sorridere i curatori fallimentari mentre ai creditori rimane oltre al danno anche la beffa. In pratica ci sono delle imprese anche blasonate che commissionano degli interventi a ditte di posa o peggio a posatori anche proponendo compensi allettanti o accettando preventivi senza mercanteggiare ma già con l’intenzione di non pagare chi eseguirà l’intervento, avvalendosi della procedura di concordato preventivo continuativo. Considerate che queste persone sono degli attori perciò non fatevi ingannare da atteggiamenti seri o da lettere di ringraziamento per la vostra disponibilità o per la qualità del lavoro che avete eseguito, o anche di falsi problemi per ritardare i pagamenti alla fine, fa tutto parte del teatro e guadagnare tempo per portare a termine la prassi del concordato preventivo continuativo e non pagare il dovuto. A volte il danno finanziario per chi prende questi lavori in subappalto non si limita solo all’importo del lavoro eseguito ma anche ad altri fattori, come nel caso che ho seguito personalmente come CTP in un prestigioso e noto edificio nel bergamasco. L’azienda di posa che ha eseguito la pavimentazione in questo edificio per un’impresa di costruzioni veneta, per poter fare il lavoro ha chiesto un finanziamento in banca di 50.000 euro su un totale del costo del lavoro di 72.000 euro. L’impresa di costruzioni ancor prima dei lavori ultimati ha richiesto l’attivazione della procedura di concordato preventivo continuativo, bloccando di fatto tutti i crediti verso diverse ditte ed artigiani. A questo punto la ditta di posa si è trovata che su un compenso pattuito di 72.000 euro, forse, fra qualche anno, riuscirà a recuperare il 10% ( 7.200 euro). Oltre a questa perdita la ditta di posa dovrà restituire il finanziamento alla banca. Altro caso analogo è successo a una ditta di posa in opera di pavimenti in legno nel Trentino. Questa ditta ha fornito a un’impresa di costruzioni oltre al pavimento anche la posa in opera per un totale di 70.000 euro. Alla fine dei lavori l’impresa di costruzioni si è trovata in difficoltà e si è avvalsa della procedura di concordato preventivo continuativo ed il Tribunale ha accolto la richiesta. La ditta di posa è stata ammessa al concordato come chirografaria. Dei 70.000 euro è riuscita a recuperare il 16% (11.200 euro) dilazionati in 5 anni. La prima rata di tale importo verrà pagata dall’impresa di costruzioni alla ditta di posa dopo 2 anni dall’omologazione del concordato. Di fronte a queste situazioni, siamo convinti che questo nostro articolo può solo informare i posatori su quello che sta succedendo e metterli in guardia. Certamente sarebbe stato importante che nelle varie manifestazioni, convegni e incontri del settore, le associazioni e le federazioni del settore parquet avessero già avvertito che il pericolo per i posatori può venire non solo dalla “signora Maria”, citata da sempre come esempio di un committente pericoloso,ma anche da pseudo imprese che operano nel mondo dell’edilizia, con la prassi di sfruttare aziende e artigiani con l’intenzione di non pagarli, subappaltando i vari interventi da loro acquisiti, nonostante la riscossione dei pagamenti previsti dall’ente pubblico che gli aveva commissionato l’incarico. Pensare di cancellare leggi che tutelano questo squallido meccanismo è un’utopia, l’unica cosa che penso si possa fare a nome del la categoria dei posatori e del settore parquet è chiedere all’avvocato Cafiero, più elementi per non cadere in queste trappole che sfruttano abilmente le leggi vigenti o meglio come difendersi a priori.
La risposta dell’avvocato
Colgo volentieri l’invito lanciato da Antonio Viscardi e Paolo Rettondini con riferimento al caso trattato e colgo volentieri lo spunto per una riflessione sul tema del concordato preventivo. Tema, è vero, sempre più incalzante rispetto al passato, dal momento in cui, tale concordato risulta uno strumento sempre più ricercato dalle imprese edili nell’ultimo periodo. Sì, strumento, perché anche se formalmente il concordato preventivo è una procedura, ovvero un procedimento per cui, con una serie di iniziative, competenze e meccanismi contabili, un imprenditore mira a tacitare in qualche modo i creditori, evitare il fallimento e tentare di proseguire nell’attività, sostanzialmente e in concreto, è uno strumento per giungere a un preciso risultato, quello appena detto. Come procedura non è una novità per la legge italiana, si risale indietro nel tempo, almeno alla Legge Fallimentare (del 1942), che lo aveva previsto per l’imprenditore “onesto,ma sfortunato”, dato che vi poteva accedere unicamente l’imprenditore meritevole sotto il profilo della gestione economica e del rispetto della legge. Come strumento, oggi, con le modifiche più recenti (la prima e più importante nel 2005 e le ultime ancora nel 2013), si presenta con nuovi e totalmente diversi presupposti e obiettivi rispetto a prima, per cui è in questi nuovi termini che bisogna ragionare, dimenticandosi, quanti eventualmente in esso si fossero imbattuti prima del 2005, il vecchio regime. Fatta questa premessa, va comunque chiarito che si tratta pur sempre di una procedura “concorsuale”, cioè di una procedura finalizzata all’estinzione dei debiti dell’imprenditore, magari mediante liquidazione del suo patrimonio o dell’attività d’impresa,ma pur sempre con soddisfacimento (ahimè, purtroppo quasi mai totale) dei creditori in parità di trattamento, ovvero con loro soddisfacimento con parità di sacrificio e senza che l’uno possa essere avvantaggiato a danno dell’altro, ovviamente fatta eccezione per quei creditori il cui credito è per legge privilegiato.
Concordato preventivo
Già la denominazione di “concordato preventivo” è indicativa della natura e della particolarità della procedura: “concordato” perché ci si riferisce a un accordo; “preventivo” perché ci si riferisce alla fase precedente al fallimento. Il concordato preventivo è, infatti, una procedura concorsuale che interviene prima del fallimento e che consente all’impresa in crisi, in accordo con i creditori, di evitare il fallimento, eliminando i debiti contratti nell’esercizio dell’impresa attraverso un piano di risanamento che costituisce, appunto, l’oggetto del concordato. È proprio per questa ragione che, oggettivamente, e non per opinione personale, il concordato preventivo sta oggi incalzando rispetto al passato, perché (non lo nasconda nessuno) è lo strumento che consente all’impresa in crisi o comunque in difficoltà economica di evitare il fallimento e di poter confidare nel mantenimento dell’attività per un’eventuale prosecuzione con ripresa, o, comunque (e non nascondiamoci neppure questo), per evitare le conseguenze negative del fallimento pur vivendone una condizione preliminare simile per la sofferenza economica nell’adempiere ai propri obblighi verso i creditori. Come già detto, rispetto al passato, le condizioni di ammissione al concordato preventivo sono completamente diverse, per cui oggi possono esservi ammessi sia gli imprenditori che si trovano in una condizione di dissesto o di difficoltà anche temporanea, sia gli imprenditori per i quali la situazione di difficoltà sia grave e anche apparentemente definitiva. Il piano di risanamento sul quale l’imprenditore dovrà raggiungere l’accordo con i suoi creditori dovrà articolarsi su una ristrutturazione dei debiti con soddisfazione dei crediti attraverso qual- siasi forma, anche mediante cessione di beni o altre operazioni straordinarie, attribuzione delle attività a un assuntore (cioè ad un terzo che assumendosi l’attività d’impresa si obblighi direttamente nei confronti dei creditori nei termini del concordato), suddivisione dei creditori in classi diverse secondo la posizione giuridica e gli interessi economici e previsione di un trattamento differenziato tra creditori appartenenti a classi diverse. Sulla domanda di concordato preventivo si pronuncia il Tribunale. I creditori convocati davanti al tribunale per l’approvazione del piano di concordato proposto dovranno pronunciarsi in quell’occasione. La mancata pronuncia equivale all’assenso alla proposta, per cui chi non riesce a partecipare a quella convocazione e non intende accettare la proposta di concordato farà bene a comunicare il proprio dissenso e per questo la legge gli consente un termine ulteriore di venti giorni. Una volta approvata la proposta il tribunale conferma la procedura e da quel momento si dà corso all’esecuzione del concordato sotto la vigilanza del commissario. Se la proposta non viene approvata dai creditori il tribunale dichiarerà il fallimento dell’impresa solo qualora vi siano i presupposti del fallimento, cioè quando dall’insieme della documentazione anche contabile dell’impresa, come acquisita proprio in occasione della proposta di concordato, emergano elementi e presupposti per far dichiarare sussistenti le condizioni di legge per il fallimento. Diversamente, dovranno essere i singoli creditori, eventualmente interessati, a chiedere il fallimento. Stando così le cose, che dire della procedura e soprattutto, dei dubbi di Viscardi e Rettondini? Sulla procedura, l’intento che la stessa legge riconosce al concordato preventivo è già di per sè esplicativo e idoneo a superare le incertezze di molti. La possibilità di confezionare una proposta dal contenuto assai flessibile, e soprattutto allo scopo di evitare il fallimento, evidenzia che è dello stesso legislatore, prima ancora che dell’imprenditore in difficoltà, la scelta di porre attenzione maggiore, e forse anche prevalente, alla conservazione dell’attività d’impresa. Una conservazione che attiene sia all’attività in sè, sia alla titolarità, perché l’imprenditore, proprio a differenza di quel che avviene con il fallimento, conserva l’amministrazione dei beni e continua a esercitare l’attività d’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale, ma pur sempre con propria titolarità. Ma la sottoposizione al controllo del commissario giudiziale è comunque finalizzata al rispetto del piano proposto ai creditori e da questi accettato. Gli atti di straordinaria amministrazione sono ammessi, ma pur sempre previa autorizzazione del giudice della procedura. Peraltro, questa conservazione di patrimonio e attività rafforza ancor di più la natura del concordato preventivo come di un vero e proprio contratto tra l’imprenditore debitore e i suoi creditori, con conseguente limitazione dei poteri di intervento dello stesso tribunale, ovviamente una volta che il concordato è stato accettato dalla maggioranza dei creditori. Di fronte all’accordo tra l’imprenditore in difficoltà e i suoi creditori, il tribunale, e dunque l’autorità chiamata ad applicare la legge nell’interesse dello Stato, verifica unicamente la regolarità e la correttezza nel rispetto della legge e non interviene in alcun modo a sindacare l’accordo o a mettere in discussione un accordo già raggiunto tra le parti. Quanto ai dubbi di Viscardi e Rettondini, è vero che con il concordato preventivo il creditore anche quando accetta la proposta dell’imprenditore subisce quantomeno il danno della perdita della parte di credito che non gli viene riconosciuta. Certamente il danno sarà, poi, maggiore ove per quell’intervento di posa il posatore abbia dovuto attingere anche a finanziamenti bancari, ma questo è nella realtà delle cose, nella realtà del mercato, nella realtà economica dell’imprenditoria. Tanto che non è eccessivo inserire questa voce di danno nel cosiddetto rischio d’impresa. Sicché, al riguardo c’è ben poco da aggiungere. Ancora in linea con Viscardi e Rettondini, è vero pure che, se finora ci si era preoccupati dei capricci o delle assurde pretese di certi committenti, oggi bisogna preoccuparsi anche di quelle imprese che operano in maniera superficiale e avventata e che negli stessi termini pensano di coinvolgere anche artigiani ai quali affidano parte del lavoro. Sicché, occorre, ed è bene, pensare e ripensare su queste vicende per essere preparati piuttosto che per ipotizzare delle soluzioni.Anche perché soluzioni non sono sempre possibili: di fronte alla proposta di concordato preventivo o il creditore accetta la proposta o non l’accetta. Se l’accetta, entra in accordo con l’imprenditore che gliel’ha proposta e su questo accordo, come già detto, il tribunale non interviene più di tanto. Se non l’accetta, non è detto che quell’imprenditore non dia comunque corso al concordato, dato che l’operatività di questo dipenderà dall’adesione della maggioranza dei creditori. E se questa maggioranza non dovesse esserci non è detto che il creditore dissenziente otterrà di più di quanto gli è stato proposto con il concordato, perché, come sopra precisato, il concordato può essere richiesto dall’imprenditore in difficoltà grave e di difficile soluzione economica. E occorre pensare e ripensare a queste ipotesi anche perché, a essere chiamati a viverle, si finisce nell’annoso e angosciante dilemma del “meglio l’uovo oggi o la gallina domani?” Dilemma che non ha nulla a che fare né con argomentazioni economiche, né con argomentazioni imprenditoriali, né con argomentazioni tecnico-operative del settore. D’altra parte, è innegabile che verso il concordato c’è un vero e proprio favore della legge, per la salvaguardia di azienda e attività d’impresa. Con un effetto protettivo degno della massima attenzione di tutti gli imprenditori in difficoltà per la preservazione dell’attività e per la possibilità di escludere il fallimento e le azioni individuali dei singoli creditori. Recriminare su questo favore della legge non giova a nessuno, perché comunque è un’attività d’impresa che si vuole salvare e perché non è un salvataggio che si vuol fare affossando gli altri, ma sul presupposto che da questo salvataggio gli altri (i creditori) subiscano un sacrificio ma non l’affossamento. Certo, oggi nell’estrema difficoltà del comparto edilizia il sacrificio di questi creditori, soprattutto quando vivono la sofferenza del settore, è una spinta in più verso l’affossamento, anche perché le proposte di concordato difficilmente arrivano ad un riconoscimento superiore al 20% del credito vantato.Ma la procedura di concordato preventivo è questa e in questi termini è ormai assestata definitivamente. Infine, sempre ed ancora in linea con Viscardi e Rettondini, è vero pure che bisogna evitare che al concordato facciano ricorso quelle che chiamano “pseudo-imprese intermediarie che operano nel mondo dell’edilizia”, ma bisogna evitarlo perchè queste pseudoimprese dovrebbero proprio essere allontanate già di loro dal mercato, a prescindere dal concordato preventivo. E per far questo non serve una legge, ma servono le segnalazioni e le scelte ferme e decise di quegli imprenditori che hanno scelto di operare in coerenza con la legge e nel rispetto del mercato. Le più recenti norme sulla professionalità dei posatori e le più recenti pronunce dei Tribunali sull’affidabilità non solo professionale ma anche tecnica delle imprese artigiane sono e saranno sempre più di aiuto e per questo ciascuno deve fare la propria parte anche segnalando i casi dubbi o negativi per il mercato. Spesso, poi, non si tratta di pseudo-imprese, ma di imprese che vivono alla giornata o, ad essere più delicati, con obiettivi non di lunga durata ma a brevis brevissimo termine. In questo caso solo il corso degli eventi potrà dare ragione a chi opera più seriamente e con professionalità. Anche per questo un punto fermo per il mercato è e dovrà essere la professionalità, non tanto dichiarata individualmente quanto riconosciuta e attestata pubblicamente e ufficialmente da quegli strumenti e da quegli elementi che la legge evidenzia e talora richiede. La recente UNI 11556 ne è solo l’ultimo esempio, ma non l’unico.