Il restauro di parquet d’epoca: vietato sbagliare
Il recupero di una pavimentazione, non importa se datata o ubicata in ambienti storici, è sempre un intervento lavorativo alquanto complesso e con risultati non sempre soddisfacenti. È indubbio, infatti, che ripristinare pavimenti che hanno decenni e, in alcuni casi, anche secoli di storia, non è impresa facile, anche se all’apparenza può sembrare. Sono interventi che richiedono persone dotate di vera esperienza manuale, che conoscano le composizioni dei prodotti e anche qualche segreto tramandato; questo perché i parquet “antichi” non si possono trattare come un comune pavimento, nuovo o seminuovo. Il restauro di antiche pavimentazioni pretende la presenza di veri parchettisti, non di persone che fanno di tutto, sono interventi molto particolari, nei quali è vietato sbagliare.
L’intervento in un palazzo storico di Firenze
Che il margine di errore sia pressoché nullo, lo dimostra un caso di recupero esemplare. Si tratta di una pavimentazione in legno di Noce (quello che una volta veniva dalle foreste del casentino ovvero il Noce italiano) e di Quercia, ovvero il Rovere nostrano, situata nel salone di rappresentanza di un magnifico palazzo storico ubicato tra le colline a Firenze. Siamo a Villa Salviati situata sulla “via bolognese”, subito nei primi tratti di collina provenendo da piazza della Libertà a Firenze. Per chi conosce un po’ la zona, sa che siamo molto vicini al centro città. L’intervento rigenerativo è stato condotto dalla SEA, Servizi di Eccellenza Artigiana, in collaborazione con la società Rangoni Basilio una delle più antiche e storiche strutture fiorentine di falegnameria specializzata tra le diverse cose nel ripristino di arredi, infissi e porte di antica fattura.
Il pavimento in legno e la scoperta archeologica in fase di lavorazione
La pavimentazione in legno, posizionata come detto nel salone centrale della Villa, era costituta da elementi in Noce posizionati a spina reale (spina di pesce diritta) con bindello e fascia intarsiata di rigiro. Una porzione di questa pavimentazione risultava quasi del tutto irrecuperabile tenuto conto del pessimo stato di conservazione nel quale si trovava. Dopo vari sopralluoghi in accordo con i diversi responsabili dell’Istituzione della Sovrintendenza alle Belle Arti, è stato dato il consenso al recupero e rifacimento del salone, naturalmente mantenendone quanto più possibile l’antica apparenza.
Si è pertanto ricercato una nuova quantità di Noce che, stante le normative vigenti oramai da decenni, non poteva essere originale ovvero proveniente da Noce nostrano. Tuttavia una nuova quantità di legno di Noce è stato poi posto a disposizione delle maestranze. Tutta la pavimentazione è stata quindi smontata pezzo per pezzo, zona per zona, numerando tutti i singoli listelli, le fasce e identificando tramite una pianta in scala la medesima ubicazione di ogni elemento ligneo.
Durante le fasi di smontaggio, è stata poi portata alla luce una serie di antiche pavimentazioni in cotto vecchio fatto a mano e, per ultimo, la scoperta di una serie di botole in marmo lavorate a mano, facenti parte con ogni probabilità della primaria pavimentazione del Castello del 1300 dei Montegonzi.
Sembra che queste antiche botole facessero parte di un impianto termale, risalente addirittura al periodo degli Antichi Romani.
Queste botole sono state restaurate e riposizionate nel salone centrale inglobandole nella vecchia pavimentazione di legno.La pavimentazione in legno, pezzo per pezzo, è stata poi riposizionata sul piano di posa di nuova costituzione, con lo stesso disegno mediante adesivi specifici. Successivamente con lavorazioni di macchine rotanti a bassi giri e con carte specifiche, si è proceduto alla pulizia dell’intera superficie lignea.
Le modifiche al piano originale e trattamenti
Rispetto alla primordiale situazione, nella nuova pavimentazione si è dovuto tenere conto di nuove grate inserite lungo i lati perimetrali del vano e di diverse botole apribili, che contenevano i punti di accesso elettrici per gli strumenti tecnici che poi avrebbero preso posto all’interno del salone. Queste sono state le uniche variazioni rispetto alla originale situazione, del resto la tecnologia avanza e dato che nel salone si sarebbero tenute riunioni tecniche e convegni, era sorta la necessità di avere prese elettriche per i vari computer o portatili, disposte sulla superficie lignea del pavimento. Anche queste botole ispezionabili e apribili, sono state coperte con le singole listelle, seguendo sempre e comunque la direzione del disegno che era a spina reale diritta (spina di pesce).
Dopo il primo intervento di pulizia, attraverso una certosina pigmentazione manuale, si è proceduto alla così detta “tonalizzazione” dei singoli listelli di nuova fattura che dato che erano nuovi, non potevano certamente avere quel grado di tonalità che i secoli avevano lasciato improntato nella rimanente superficie di vecchie doghe. Finito il lungo lavoro di coloritura, ecco che dopo avere ripulito sempre a mano la superficie, si è proceduto alla stesura di una serie di prodotti a base cera con lucidatura per mezzo di feltri appositi. Era naturale che la superficie del pavimento, al massimo, venisse ritrattata con cere non certo con prodotti filmogeni che avrebbero creato una sorta di plastificazione finale con un risultato certamente non consono all’età della pavimentazione.
Il risultato finale
Il risultato finale, come le fotografie possono ben evidenziare, è stato più che soddisfacente tanto da ricevere vari plausi da parte dei responsabili tecnici della Sovrintendenza. Certamente la pavimentazione è ritornata a un antico primordiale splendore rimanendo fedele il più possibile alle proprie caratteristiche originali. Il fascino dei pavimenti in legno è sempre unico, anche a distanza di secoli. ■
La storia di Villa Salviati
Villa Salviati è un edificio storico di pregio appena fuori Firenze che con il suo aspetto severo, ispirato al gusto “michelozziano”, domina la città. Fu acquistata da Alamanno Salviati nel 1445, il quale avviò i lavori di ristrutturazione. Già nel XIV secolo qui si trovava il castello dei Montegonzi, costruito su terreni dei Del Palagio. Nel 1445 Arcangelo Montegonzi lo cedette ad Alamanno Salviati (colui che introdusse in Toscana la coltivazione dell’uva salamanna e del gelsomino). Alamanno incaricò alcune maestranze di ridurre il castello a villa, dotata di giardino e, addirittura, di un bosco. Nel 1490 i nipoti di Alamanno, spartendosi i beni dello zio, diedero la villa a certo Jacopo, imparentato con Lorenzo de’ Medici. Nel 1493 vennero intraprese delle nuove, considerevoli, opere di ristrutturazione, alle quali prese parte, con ogni probabilità, Giuliano da Sangallo e che durarono circa un decennio. Ai lavori partecipò l’artista Giovan Francesco Rustici che tra il 1522 e il 1526 realizzò per la villa una serie di tondi in terracotta con soggetti mitologici (come Apollo e Marsia o Giove e Bellefonte). Nel 1529 la dimora venne saccheggiata dalla fazione antimedicea e tra il 1568 e il 1583 Alamanno di Jacopo Salviati e suo figlio Jacopo ingrandirono e abbellirono ulteriormente la villa, con i giardini (1570 – 1579) e gli edifici che delimitano il confine nord e che creano una quinta scenografica collegata alla villa. La villa passò poi agli Aldobrandini-Borghese e il 30 dicembre 1844 venne acquistata “a cancello chiuso” (cioè con tutti gli arredi) dall’inglese Arturo Vansittard. Pervenne poi al tenore Giovanni Matteo De Candia detto in arte Mario, che vi abitò con la moglie, il soprano Giulia Grisi; al banchiere svedese Gustave Hagerman ed infine, nel 1901, ai Turri. Durante la seconda guerra mondiale fu sede di un comando alleato. Seguì un lungo semi-abbandono, in cui la villa non fu accessibile nemmeno agli studiosi. Nel 2000 il complesso monumentale, insieme ai suoi giardini, è stato acquistato dal Governo Italiano per essere destinato all’Istituto Universitario Europeo, che ne ha fatto la sede degli Archivi Storici dell’Unione Europea.